Pubblichiamo l’interessante riflessione di Sergio del Molino su letteratura, storia e violenza nata dalla sua lettura dell’ultimo romanzo di Patricio Pron, Non spargere lacrime per chiunque viva in queste strade (gran vía, 2018), apparsa sulla rivista Eñe.
Persino nei romanzi che prescindono intenzionalmente dalla sfera sentimentale, mirando a quella intellettuale e alla saggistica, i lettori possono emozionarsi. E, per quanto mi riguarda, fatico a comprendere se mi emoziono più in qualità di lettore o di scrittore, perché ciò che mi commuove dell’ultimo libro di Patricio Pron, Non spargere lacrime per chiunque viva in queste strade, è la possibilità di contemplare un autore nella sua piena maturità, che padroneggia il proprio mestiere e che ha eretto con sforzo mastodontico (benché con la semplicità e l’allegria caratteristiche di uno scrittore conscio del proprio talento) un’opera perfetta. Ce l’ha messa tutta, Pron. E ancora non mi è chiaro se lo ammiro, grato di avere un gran libro tra le mani, o se lo invidio miseramente, come l’autore che avrebbe desiderato scrivere questo libro ma che è stato anticipato.
Pron ha creato un romanzo politico che all’apparenza parla del passato, ma che tratta il presente. Perché il passato, nella storia e in letteratura, esiste soltanto in funzione del presente. Come sappiamo, Pron ha ideato un Congresso di Scrittori Fascisti, celebrato nella Repubblica di Salò poco prima della fine della Seconda guerra mondiale. Questo è il nucleo del romanzo, una parodia esplicita dei congressi degli scrittori antifascisti celebrati a Parigi e a Valencia rispettivamente nel 1936 e nel 1937.
Nei giorni scorsi, lo scrittore Juan Vico ha condiviso su Facebook una citazione tratta dal prologo di Martí de Riquer a un romanzo di Joan Perucho: “Ciò che è intollerabile nella storia, che dev’essere lo specchio limpido del passato, lo Speculum Historiale secondo Vincenzo di Beauvais, non soltanto è tollerabile nella letteratura, ma è indispensabile nella grande letteratura, la tanto oggi criticata letteratura di immaginazione, senza la quale non avremmo l’Odissea, La Divina Commedia, il Tirant lo Blancho il Chisciotte. Per sapere cos’è accaduto o cosa sta accadendo abbiamo già la storia e i quotidiani; per divertirci con ciò che non è accaduto o che non sta accadendo abbiamo a disposizione una vastissima porzione di letteratura”. Nulla di più antico e oltraggioso della storia come specchio del passato (per di più, nient’affatto limpido). Il libro di Pron è una confutazione ulteriore. Da tempo sappiamo che la storia è un racconto interessato, una costruzione del senso. Il passato è soltanto narrazione, e la storia, come tale, è più vicina alla letteratura che alla scienza. È semplice (e intellettualmente seducente) fonderle in un tutt’uno. È una tendenza che apprezzo molto, in grado di mettere in discussione diverse verità più o meno discutibili e di capovolgere ciò che pensiamo di sapere su noi stessi e su un passato apparentemente immutabile.
Pron dimostra, alla stregua di diversi scrittori e storici, che questo specchio, metafora della storia, è rotto, deforme e macchiato.
Esiste una corrente del romanticismo che, seppur ampiamente esaminata dagli studiosi, ha portato soltanto a riflessioni nella letteratura; forse per via dell’apprensione nei confronti delle opere di metaletteratura (per quanto i critici di questa tipologia le considerino una piaga e pensino che gli scrittori sappiano soltanto scrivere di altri scrittori). Questa corrente ha per oggetto il fascino che la violenza politica ha risvegliato in diversi autori e le osservazioni sorte dal dibattito tra discorsi letterari e azioni violente. Qual è la responsabilità dello scrittore? Fino a che punto l’autore è vittima delle passioni del suo tempo o è colpevole di divulgarle? Pron esplora queste alternative e tenta di capirci qualcosa. Chiaramente, non risponde a tutte le domande, ma scova diverse costanti e più di un parallelismo inquietante con il presente. Per questo ci interpella, perché sta parlando di un dilemma universale che ancora non abbiamo risolto (o che ogni generazione pensa di aver risolto a modo suo).
Quello di Pron è un libro squisito ed eccezionale, in grado di riflettere su moltissime questioni letterarie che sembravano spettare esclusivamente agli studiosi. Dovreste leggerlo.
[Traduzione di Valeria Bonazzi]