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La Piramide di Juan Villoro – Vertigine narrativa di Rosa Beltrán

In un universo cosmopolita dominato dalla violenza, Juan Villoro è diventato una delle voci più suggestive della letteratura contemporanea in lingua spagnola. In questo testo, letto durante la presentazione de La Piramide, il suo ultimo romanzo in pubblicazione presso Gran Vía[s1] , Rosa Beltrán riflette sui temi e gli orizzonti della narrativa attuale.

Il grande romanziere Don DeLillo in White Noise (Rumore Bianco[s2] ) ci mostra un mondo in cui è impossibile distinguere tra verità e mito. In questo universo non si può sapere cosa è reale e cosa obbedisce alla fantasia. Sta piovendo? Chiede un padre al figlio adolescente, che come tutti i ragazzi si ostina a contraddire il padre con argomenti incontestabili, benché assurdi. “Non lo so”, risponde il figlio. “Come fai a non saperlo: metti il braccio fuori dal finestrino, piove o no?” [s3] Il figlio risponde che dipende: in un tempo governato dalle leggi di Newton, piove, ma secondo la teoria della relatività può anche darsi che non sia così, nonostante entrambi in questo momento si stiano bagnando. In questo romanzo la realtà del pop e della controcultura viene contaminata dalle verità della filosofia, della scienza e del mercato, al punto da ridurre la differenza tra cultura alta e cultura del consumo, mettendo in discussione ciò che consideriamo indubitabile. In realtà, l’operazione di DeLillo consiste nel creare una parabola sull’impossibilità della rappresentazione nell’epoca postmoderna.

In La Piramide di Juan Villoro succede qualcosa di analogo. L’autore ha rielaborato l’idea di paradiso vacanziero a cui i turisti stranieri ricorrono per cercare (e trovare) emozioni estreme. Atti terroristici, sequestri-lampo, finte violenze il cui successo dipende dal non sembrare finte, tutto allo scopo di soddisfare il bisogno di adrenalina a cui li hanno abituati il cinema e i reality show. O ci hanno abituati. Ma davvero ci siamo abituati alla violenza? Penso di no.

Sin dalle prime pagine il lettore sa di essere davanti a un romanzo a metà strada tra il realismo e il simbolismo; il tema della violenza come atto ricreativo e totem della nostra epoca è il motivo centrale per una riflessione sulla gratuità del dolore, sull’etica e sull’amicizia in tempi convulsi come quelli in cui viviamo. Il tono di questo romanzo impone una distanza che ci costringe a sperimentare la violenza come rappresentazione e ci impedisce di sperimentare la violenza in quanto tale.

Basandosi sul motto che “il pericolo è il miglior afrodisiaco[s4] ” Mario Müller, un ex-cantante rock amministra la Piramide, un resort ispirato al Tempio delle Iscrizioni di Palenque, in cui ogni giorno si rappresentano scene attraverso le quali ricorda ai visitatori che, di tutte le emozioni negative, la paura è l’unico istinto a cui la società dei farmaci e dell’euforia non è disposta a rinunciare.

“Offriamo più di un semplice sport”, dice Mario Müller al protagonista Tony Góngora, amico d’infanzia ed ex-componente del gruppo rock Los Extraditables, che ha assunto per sonorizzare i movimenti dei pesci di un acquario. “Offriamo turismo estremo. Siamo in una zona di guerrilla. Ogni tanto i turisti hanno contatti con dei presunti ribelli. Si prendo qualche spavento e tutto torna alla normalità… Non ti sembra un successo? Sandra li aiuta ad allenarsi: non è facile rappresentare la violenza”.

Davanti a un romanzo del genere, la prima cosa che ci si chiede è perché qualcuno vorrebbe rappresentare la violenza e perché qualcun altro dovrebbe pagare per assistere a questo spettacolo, se in un Paese come il nostro[s5]  se ne trova in abbondanza nella realtà di tutti i giorni. Ma è solo allora che ci rendiamo conto di essere caduti nella trappola. In un Paese come il nostro la realtà è la cosa più difficile da trovare. “Il terzo mondo esiste per salvare dalla noia gli europei”, dice Mario. “Quello che per noi è orribile, per loro è un lusso”. Ed è vero. I turisti stranieri non vanno forse a Teotihuacán per sentir parlare di sacrifici umani? Non vanno forse nella regione maya per sentir parlare di principesse ingioiellate e sacrificate nei cenote[s6] ? Cosa succederebbe se durante una visita turistica la guida non raccontasse mai queste cose?

Ricordo che una volta a Uxmal assistetti a uno spettacolo di luci e suoni in cui una voce fuori campo raccontava antiche leggende maya tratte dal libro di Médiz Bolio[s7] . Dietro di me c’era un coppia di americani con due figli, di sette e dieci anni. Mentre la voce raccontava la storia della principessa Sac Nicté o ricordava la saggezza di quella civiltà che inventò lo zero prima di tante altre e conosceva gli astri come le proprie tasche, la famiglia chiacchierava, mangiava caramelle che estraeva da rumorosi sacchetti di plastica, faceva rumore, litigava e si sentiva soddisfatta senza rendersi conto di aver pagato per conoscere quella storia e senza considerare che gli altri potevano conservare ancora questo interesse. All’improvviso si spensero le luci. Nell’oscurità risuonarono due conchiglie mentre un fascio di luce fece apparire due serpenti scolpiti nella pietra che si alzavano in modo piuttosto spettacolare. La famiglia americana si animò. La voce che prima si era dimostrata cordiale, divenne sinistra. “Kukulkáaaan…” ripeteva come dall’al di là, “Kukulkáaaan”. “Peter Pan!” gridò il figlio minore, e i genitori annuirono: “Peter Pan, ma con sacrifici umani!”. La famiglia rimase in silenzio, affascinata. Si poteva avvertire l’emozione di chi ha pagato per sentire la storia che vuole sentire e, quindi, finché riceve la sua dose si orrore non rimarrà deluso.

E così, attraverso l’ironia, Juan Villoro ci conduce nuovamente lungo quella sottilissima linea tra la verità e la sua iperbole, a cui ricorre per mostrarci l’assurdità della condizione umana.

La piramide è quasi un comic manga e al tempo stesso una fantasia gógoliana sul nostro presente. Questo centro vacanze che offre pericoli controllati è l’emblema dei valori della mondializzazione. La paura come spettacolo e stimolo, il riciclaggio di denaro e le fatture false come guadagno.

(cit. “Benvenuto nel mondo reale, Tony”…. )

In effetti, nel romanzo di Gógol il personaggio principale, Čičikov, compra i nomi dei servi morti e grazie alle sue visite in diverse tenute mostra la decadenza della Russia attraverso gli emblemi di un sistema feudale in rovina. In La Piramide, Juan Villoro fa un elenco simile di abitudini e affari sinistri dalla legalità: il diritto al’ozio, il benintenzionato mercato del turismo, industria nata solo nel XX secolo. E anche se in questo romanzo è difficile sapere chi mente e chi no o da che parte è il bene o il male, in certi momenti la trama poliziesca lascia intravedere che, da qualsiasi parte uno stia, non ne uscirà illeso. Nemmeno il lettore, che non può farsi un’idea completa di ciò che succede. La ragion d’essere di questo centro vacanze è in realtà il riciclaggio di denaro? La vendita di droga nascosta in grotte sottomarine? La tratta delle bianche?… Le possibilità aumentano man mano che si avanti nella lettura. Per cui non vi sto dicendo molto raccontandovi questo. E dato che il romanzo in fin dei conti è un thriller, il mistero aumenta con l’apparizione del primo morto. O di due. O di una serie di strade e incognite che ci fanno capire che, come in Sotto il vulcano, qualsiasi cosa succeda il tema del viaggio del protagonista nel cuore di questo Paese avvilito e avvilente è, più che una denuncia, una via per l’autoconoscenza. Sulla capacità d’inventiva e la creazione di frasi che sono già citazioni, non intendo soffermarmi. I romanzi di Juan, come tanti hanno fatto notare, sono un concentrato di aforismi. Per cui credo di non tradire lo spirito de La piramide proponendo un metodo di lettura alternativo, che consiste nell’aprire il libro a caso, come fanno i protestanti con la Bibbia per spronare l’immaginazione alla ricerca del soffio divino, dato che come Borges ci ricorda, secondo la stessa Bibbia lo spirito soffia dove vuole.

Alla vertigine di questa narrazione supercontemporanea, superingegnosa, scritta con tanta malizia, si aggiunta un’ulteriore pregio. Per la sua complessità e raffinatezza, alla fine della lettura uno si sente più intelligente. I romanzi di Juan provocano questo strano effetto: fanno sì che il lettore si senta più intelligente. Probabilmente il cambiamento che si prova non è che un miraggio. In ogni caso, il viaggio nella lettura verso questa sensazione finale vale decisamente la pena.

Testo letto durante la presentazione di La piramide di Juan Villoro il 24 marzo 2012 presso la Librería Gandhi, succursale Mauricio Achar, Città del Messico e riportato sulla Revista de la Universidad de Mexíco, Agosto 2012, numero 102.

Traduzione di Stefania Marinoni


 [s1]Lo mettiamo un inciso di questo tipo, per informare della pubblicazione?

 [s2]Dei libri citati indichiamo tutti  dati dell’edizione italiana?

 [s3]Continuerò la ricerca della citazione originale.

 [s4]Per ora ho fatto una traduzione io, in attesa di quella definitiva

 [s5]Lasciamo così o mettiamo “in un Paese come il Messico”?

 [s6]Nota?

 [s7]Nota?